destionegiorno
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FELICE SERINO è nato a Pozzuoli nel 1941. Autodidatta. Vive a Torino. Copiosa la sua produzione letteraria (raccolte di poesia: da Il dio- boomerang del 1978 a Vita trasversale del 2019); ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti e di lui si sono interessati autorevoli critici. E’ stato ... (continua)
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nell’oltre non c’è ombra
-lo sai- ombra che ti possa
nascondere allo sguardo
è una chiarità che t’attraversa
non come qui... leggi...
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inanellati aleggiano pensieri
si frantumano ri- compongono
tu aureolato di fumo
a lasciarti corteggiare
dal misterico chiarore d’una
complice luna
rima sì rima no baciata o
interna e che suoni
un corpo- a- corpo con la parola
intanto
di... leggi...
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risalgono dal cuore giorni analfabeti
a dire l’urlo della rosa
l’insaziato stupore
e i me stessi
a spiare
dalle crepe... leggi...
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il viso un libro
le pagine
gli io indefiniti
maschere che indosso
se non mi trovo
poi s’apre
il corpo -occhi... leggi...
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manca poco possano piovere
lettere
nel tuo sogno controllato
e tu
ti veda
riflesso in pozzanghere
a cogliere parentesi... leggi...
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alle sue spalle
un cielo bianco cadmio
e la figura
ieratica
a fendere la folla
chiudere le distanze
luminosa... leggi...
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conosco le voci che muoiono
agli angoli delle sere
conosco le braccia appoggiate
sui tavoli nel risucchio
delle ore... leggi...
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cadute virgole
dalle pagine dei giorni
come un assordare di cristalli
poi brividio
di luna nel cerchio delle... leggi...
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sull’onda bianca della pagina
inavvertita la musa
come un’ala si posa e
si china discreta
a ricreare di palpiti un... leggi...
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come un bosco devastato
intristirono la tua infanzia
di pochi sogni
tra trame di tappeti e catene
ancora grida il tuo... leggi...
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noi lacere trasparenze
-sostanza di luce e di sangue-
a superare d’un passo la morte
solleva l’angelo un lembo di... leggi...
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come appena
emerso
da naufragio di... leggi...
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insostanziale la Luce
nella carne si oscura
(energia fatta densa)
luce verde della memoria
scuote la morte:
il... leggi...
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grovigli di rami
disegnano
la forma del vento
voli
di gabbiani ubriachi di luce
a pelo d’acqua decifrano tra
auree... leggi...
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quanti ancora ne restano
nel conto apparente degli anni
incorniciati nella finestra i rami
imperlati di gelo e la coltre... leggi...
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Afflati
(2018) (44 poesie)
sembra toccare il cielo
attraverso la grande vetrata
gli fa visita il gabbiano
unico amico
al crepuscolo alla stessa ora
nel becco l’argentea preda
l’uomo del faro:
non uno stravedere
come il ragazzo l’ ha sempre sognato
tra spume d’ onde e
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risillabare palpiti
di soli e
generare amore dove
il cuore mette ali
elevarsi come aquila
negli’ infiniti
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chi può conoscere
meglio della terra i morti
l’inverno col suo bianco manto
il silenzio copre e il loro cuore
oltre orizzonti di palpiti
vegliando aleggia
il
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come quel file danneggiato che non
si riesce a eliminare: diciamo un po’ simile
lo stato d’ animo di chi non si sente
realizzato ed è la sua anima
un buco nell’immenso
ti sarà capitato un file corrotto:
ti sta sui cosiddetti ed è come
la vita
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nel momento del distacco dirai
forse impropriamente
"è mancato" - invece d’ un accorato
"ci abbracceremo nell’ altra dimensione"
mancato sì alla scena
del
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aureolato di fumo
vaga il pensiero nei meandri del sogno
s’aggriccia il foglio sotto
l’impulso della penna in cerca
della giusta assonanza o
d’una
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lui -il "cornuto"
che continua a lavorarci contro-
lo vedemmo nelle case della morte
col fumo della carne bruciata
lo riconoscemmo nella "bestia"
umana
dopo gli anni orrendi oggi
un museo: in mostra scarpe
valigie occhiali e
una montagna
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dibattersi della farfalla
sotto la volta del bicchiere
-crudele gioco
così
in noi la vita che anela
all’infinito
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sordi alla domanda del sangue
noi
sotto un cielo bianco di silenzi
le parole rimaste in gola
cadono
come un infrangersi
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l’amore è un volo
che si stacca dai tuoi tramonti
e lascia una mesta dolcezza
come virgola di fuoco
quel dolore che si
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nella luce che sale
generosa sei
come musa che l’abbrivio dà
col primo verso
-aria
di vetro - parola
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un intrico di rami
fitto a mo’ di tetto -quasi
a contenere la dolce indolenza
d’un meriggiare montaliano
vastità di te solo
a
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portavo le mie quattr’ ossa sul calvario
accomunato alle migliaia di sventurati
lungo i binari della morte
ti parlo
a nome di chi nome non aveva
ti parlo dalla regione del dolore
con la bocca dei morti
ove germogliano fiori
di quel perdono
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pilucca sillabe
la mia anima di carta
l’attraversa noetica luce
ammicca la musa
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quante volte ho sceso scale
pensando a "quelle" di Montale
-ancor giovane ti senti e il braccio
non l’ hai voluto-
e quella certa luce a flettersi
sulla mia dolce indolenza
nel sentirmi chiedere che si fà
stasera
voglia non ho di uscire -ci
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